PREMESSA:
Nell'affrontare il lavoro che mi accingo a compiere sulla vicenda di Tommaso Gulli “ufficiale e gentiluomo”, - esordisce il relatore - trovo giusto partire da Dante. La grande passione politica che ha attraversato tutta l'esistenza del sommo poeta, annoverato in primis tra i padri della Patria, trova compendio ed esatta immagine nei versi 113 e 114 del IX canto dell'Inferno. Nella penisola attanagliata da contrasti e lotte insanabili tra Papato-Impero-Comuni-Repubbliche marinare, già nella seconda metà del 1200, Dante aveva indivuduato i confini d'Italia che non poteva essere “nave senza nocchiero in gran tempesta”, ma entità unita e sicura.
[…] si com'a Pola, presso del Carnaro
che l'Italia chiude e suoi termini bagna […]
Questi versi sono scritti sull'ingresso dell'arsenale della Marina militare di Venezia sotto un busto in bronzo del sommo poeta.
In verità i confini così auspicati nel XIII secolo non potevano tenere conto di quell'allargamento di italianità in Adriatico, nello Ionio, nell'Egeo che avrebbe comportato la sfolgorante parabola del potere commerciale e politico della Serenissima repubblica di Venezia, allora agli inizi.
Di carattere prettamente veneziano (e Venezia sostituirà Roma dopo un millennio in quelle zone), diverranno nei secoli successivi le città rivierasche dell'Adriatico orientale e i centri degli arcipelaghi ionici, pur con il secolare contrasto con il mondo islamico. In alcuni casi sorgeranno occupazioni “consorziali” del tipo Europa Unita, se valutiamo che i cavalieri gerolosomitani che governavano l'isola di Rodi, baluardo cristiano in pieno Islam, provenivano da tutte le nazioni cristiane.
Il relatore Alberto Cafarelli fa notare che fino al 1948 la toponomastica della città di Rodi annoverava tra gli altri il quartiere genovese, la strada d'Alemagna, la via con l'albergo d'Inghilterra.
L'800 E I NAZIONALISMI:
La decadenza della Serenissima e la breve parentesi napoleonica nelle province illiriche, aveva visto comunque mantenere il carattere italiano nelle città che finivano sotto il dominio dell'impero austro-ungarico. Le varie tappe del Risorgimento italiano nel secolo dei grandi nazionalismi, avevano ingenerato forme irredentiste in Istria e in Dalmazia, tant'è che Giuseppe Garibaldi aveva in mente nella terza guerra d'Indipendenza un corpo di spedizione che avrebbe dovuto interessare Trieste o Fiume, mentre – prosegue Alberto Cafarelli – il generale verrà utilizzato tra Brescia e Trento, e le uniche vittorie italiane del 1866 avranno il suo nome.
Verso la fine dell'800, pur mantenendo una politica di scoraggiamento delle esigenze autonomistiche ed irredentistiche del suo vasto impero polinazionale, l'Austria riusciva a mantenere buoni livelli alla propria economia.
Una saggia politica economica, le nuove leggi di mercato di stampo occidentale, fornivano buone prospettive al commercio, alla imprenditoria e alla classe borghese in genere. Sotto questa spinta le città a maggioranza italiana dell'Istria e della Dalmazia, anche nel ricordo del dinamismo veneziano, si ingrandivano, traendo impulso ed aumentava la consapevolezza di volersi riunire alla giovane madre patria.
La quota italiana preminente nelle belle città costiere e nelle isole prospicienti l'Adriatico orientale, diveniva quasi nulla nelle campagne e nel retroterra che rimanendo per così dire “balcaniche” presentavano un profilo economico minore.
Alla vigilia della Grande guerra su 536.000 abitanti dell'Istria 254.000 erano italiani, 217.000 erano slavi ed il resto diviso in nazionalità minori. Nella sola Trieste, però, a fronte di 220.000 abitanti ben 170.000 erano connazionali. In Dalmazia su 110.000 residenti nella fascia costiera e nel poco retroterra, i 60.000 italiani fornivano la maggioranza qualificata e qualificante nelle belle e prospere città della costa.
Nello specifico delle città interessate secondo il censimento austriaco del 1910, abbiamo la seguente situazione:
Città capoluogo |
Abitanti |
Italiani |
TRIESTE |
219.352 |
170.025 |
POLA |
50.291 |
32.713 |
FIUME |
48.492 |
24.212 |
ZARA |
13.398 |
9.278 |
SEBENICO |
9.934 |
6.347 |
SPALATO |
13.909 |
6.720 |
La città di Fiume era comunque corpo speciale annesso alla corona ungherese, della quale era capolinea commerciale importantissimo. Città veramente cosmopolita se, a fianco dei 24.212 italiani vivevano tutto sommato in pace 13.351 sebo-croati, 2.336 sloveni, 2.315 austro-tedeschi, 6.493 ungheresi, più risibili minoranze.
LA PRIMA GUERRA MONDIALE:
Non deve quindi meravigliare se l'Italia del 1915 lascerà l'alleanza con gli Imperi centrali per passare all'Intesa, avendoci l'Austria promesso poco.
Ciò che forse non era stato tenuto nel debito conto era non tanto il fatto che, ad esempio Zara dovesse passare alla madre patria Italia, ma quanto che si entrava nel contesto iugoslavo-balcanico che era all'epoca e tale è rimasto un crogiolo di etnie, di religioni, di odi secolari, difficilmente e dolorosamente gestibili.
Tutt'oggi c'è bisogno nelle zone centrali di quella penisola di una presenza di forze internazionali che siano scudo, interposizione, salvaguardia alle popolazioni perennemente in lotta tra loro. L'Italia con le sue forze armate contribuisce in modo considerevole al ruolo dissuasivo e umanitario.
La carta geografica della De Agostini, realizzata verso la fine della guerra (agosto 1918), più che documentare una situazione sancita, risente dei “desiderata”, degli accordi del Patto di Londra del 1915 e delle promesse soprattutto dell'Inghilterra che non era nuova a promettere ciò che non era suo.
Il fallimento dei negoziati di Parigi tra le potenze vincitrici soprattutto per l'atteggiamento antiitaliano della Francia e del Presidente degli Stati Uniti Wilson – prosegue Cafarelli – rendevano il clima più teso. L'efficace espressione della vittoria mutilata, personificava questa insoddisfazione, e lo stesso governo italiano debole un po' con tutti, veniva scavalcato dal D'Annunzio che nel settembre del 1919 occupava Fiume con i suoi legionari e ci rimarrà per più di un anno. In verità tutte le città italiane della costa istriana e dalmata occupate fin dai primi mesi di novembre del 1918 da contingenti navali della nostra Marina si erano “già date all'Italia” con votazione di consigli comunali, con plebisciti o con manifestazioni di piazza.
TOMMASO GULLI:
In questo marasma di contrastanti passioni veniva a maturare la tragedia di Tommaso Gulli. La città di Spalato non era compresa nel Patto dell'aprile del 1915 tra quei centri che dovevano passare all'Italia; però per diversi mesi fino al novembre del 1919 essa era governata da rappresentanti di forze interalleate e il responsabile della Reggenza provvisoria del Comando Navale italiano, era il comandante in seconda della nave torpediniera “Puglia”, appunto il comandante di corvetta Tommaso Gulli.
Il Gulli, erede di una genia di militari, brillantissimo ufficiale dalla conoscenza perfetta della lingua inglese, appresa dalla madre londinese, amico di Guglielmo Marconi, durante la guerra si era salvato per miracolo quando, direttore del tiro della corazzata “Regina Margherita”, questa era saltata su una mina uscendo dal porto di Valona in Albania nella notte del 12 dicembre 1916.
Prima ancora si era messo in evidenza come direttore del tiro della “Varese” nell'impresa dei Dardanelli nella guerra italo-turca.
A conflitto concluso era stato utilizzato nella Commissione interalleata per lo smembramento della sconfitta flotta imperiale austriaca ed aveva al suo attivo numerosi viaggi anche in estremo oriente.
Nelle sue decorazioni appaiono anche quelle di Giorgio V d'Inghilterra e di Nicola II, Zar di tutte le Russie.
Nel febbraio del 1920 diveniva comandante in prima della “Puglia” e successivamente ritornerà a Spalato visto l'ottimo suo comportamento dell'anno precedente quale comandante navale italiano, inquadrato in una forza interalleata di controllo del litorale dalmata, alle dipendenze dell'ammiraglio statunitense Andreiw.
Nela missione la “Puglia” era affiancata dal C.T. “Aquilone”.
La sera dell'11 luglio 1920, avendo notizia, che gli ufficiali della sua nave erano oggetto di violenza da parte croata, utilizzando un MAS, si recava nei pressi della banchina del porto di Spalato facendo comunicare con il megafono l'intenzione di recuperare i suoi uomini per riportarli a bordo.
Per tutta risposta le truppe croate dislocate sul molo aprirono il fuoco e ferirono mortalmente il Gulli, il suo motorista Rossi e il marinaio Pavone che si salverà.
Il Rossi spirò quasi subito, il Gulli dopo un disperato intervento chirurgico in una clinica di Spalato.
Va sottolineato, e in questo sta molto del suo eroismo, che il comandante ferito e conscio della gravità non volle aprire il fuoco né con le armi del Mas, né con le artiglierie delle navi. Non intendeva complicare la situazione, né mietere eventuali vittime innocenti.
Uomo di pace era andato incontro alla morte e nel morire tale rimaneva.
Dal rapporto sui fatti del comandante del CT “Aquila” si evincono pure le nobili frasi che il Gulli ebbe a pronunciare prima di morire.
Il fatto servì ad aumentare la “temperatura” nazionalistica in quelle terre.
Ebbe somma risonanza in patria e fuori, se ne alimentò D'Annunzio che dirà: “L'Italia deve fare come il comandante Gulli che si strappa le bende per vedere le sue ferite”.
Ci furono interventi in Parlamento.
Mentre a Zara la caserma della Marina militare veniva intitolata a tamburo battente all'eroe reggino, a Trieste in una manifestazione di piazza veniva bruciato l'albergo slavo Balcan.
Alla salma furono tributate spontanee onoranze funebri in alcune città della Dalmazia; finché a Reggio Calabria vennero celebrai i solenni funerali, ai quali parteciparono folte delegazioni dalmate, soprattutto di Spalato.
Gli italiani di questa città per il primo anniversario regaleranno una pregevole lastra bronzea che tutt'oggi è sistemata nella cappella di famiglia al cimitero monumentale di Reggio Calabria.
Con R.D. del 16 marzo 1922 al comandante Tommaso Gulli verrà conferita la medaglia M.O.V.M. alla memoria e nel 1923 la “Puglia” sarà posta in disarmo e la parte prodiera verrà interrata nel parco della villa di D'Annunzio al Vittoriale degli Italiani, a Gardone sulla sponda del lago di Garda e con la prua rivolta verso l'Adriatico.
Sempre alla Fondazione “Il Vittoriale degli Italiani” le figlie del Comandante Tommaso Gulli, Anna ed Agata donarono i cimeli del padre, tra cui il considerevole medagliere che sono accuratamente custodito all'interno del museo, mentre la divisa e la sciabola si trovano presso il Museo Civico di Reggio Calabria.
CONCLUSIONI:
Ho scelto – conclude Alberto Cafarelli – di tracciare il profilo di questa vicenda data la stretta conoscenza che la mia famiglia ha avuto con le figlie dell'eroe e per ricordare la presenza italiana al di là dell'Adriatico. Ci sarà modo di tracciare quello che è capitato ai nostri connazionali dopo il 1920 specie ai dalmati così appassionati verso l'Italia, però ritengo di farne un breve cenno. Il crollo dei regimi dell'est dopo il 1990, ha dato il via nel disgrego balcanico alla applicazione di quei metodi di “pulizia etnica” - continua il Cafarelli – che già gli slavi avevano esercitato nelle nostre comunità durante e dopo la seconda guerra mondiale dall'8 settembre del 1943 al 1947.
Le efferatezze, le fosse comuni tra sloveni-serbi-croati-bosniaci-cosovari, erano le pratiche di ieri verso gli italiani. Tant'è che dopo l'esodo dei sopravvissuti, gli abitanti italiani di quelle zone nel numero saranno meno della metà di quelli censiti dagli austriaci nel 1910.
In alcune zone sono stati abbattuti gli elementi architettonici identificativi della presenza della Serenissima, che si trovavano colà fin dal 1400; oltre alla distruzione delle precedenti anagrafi comunali.
Soltanto nel 1954, Trieste verrà dagli alleati occidentali restituita all'Italia.
Finché è stato vivo il sentimento di italianità la figura del Gulli ha avuto un certo risalto, così come manifestò l'allora Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi durante un suo comizio a Reggio Calabra in occasione di una delle tornate elettorali del 1948.